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Il Carnevale di Acireale nella seconda metà del Novecento

il_carnevale_di_acireale_nella_seconda_meta_del_novecento_di Rosario Catania – Anche ad Acireale il Carnevale – questa festa così cara e necessaria all’umanità tanto da essere presente fin dalla notte dei tempi- è ormai giunto al termine. Ma c’è stato un tempo in cui forse la festa di Carnevale era vissuta diversamente da noi acesi? Per rispondere a questa domanda ho cercato tra le carte di mio padre, il prof. Francesco Catania, e ho ritrovato un articolo – scritto nel 2007 per «Il Gazzettino del Sud» del direttore Giuseppe Vecchio – che ripropongo ai lettori di «Etna Mare Reporter».

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Ricordi  di albe di lontani mercoledì delle ceneri, di lenti ritorni a casa, con la testa piena di sensazioni contrastanti:  da un lato i rimpianti per la festa appena conclusa,  dall’altro la fastidiosa inquietudine per il ritorno alla normalità.
Le antiche follie dell’ultima notte  di carnevale, il rogo, i veglioni, il pane caldo ed era già Quaresima.
A sorgere del sole mi avviavo mestamente, stancamente e lentamente verso casa, quando il cielo cominciava a ricolorarsi e le ultime ombre della notte venivano fugate dai primi raggi solari, con in testa tante sensazioni contrastanti – rimpianto per la festa appena conclusa, un senso di fastidiosa inquietudine per l’imminente ripresa della quotidianità – masticando l’ultimo boccone di pane caldo, condito con olio e sale.
Per noi era quasi un rito, all’uscita del salone delle danze, andar dall’amico fornaio, che ci preparava appetitose,  calde “cuddureddi” che divoravamo con gusto dopo una notte decisamente brava.
Si cominciava nel pomeriggio dell’ultimo giorno di carnevale dopo il tradizionale, lungo e lauto grasso pranzo per il grasso martedì: maccheroni,falso magro, l’immancabile salsiccia ed i cannoli di ricotta.
Fra schizzi e brindisi si arrivava fino alle quattro.
A quel punto quasi scappavo per inserirmi fra la folla festante lungo le strade del circuito.
Spesso con la mascherina, allora era permesso. Seguivo ora un carro, ora un altro.
Qualche acceso duello di coriandoli con qualche  amico.
Applicavo “callà” sulla schiena delle persone più seriose.
Si organizzava con i compagni quello che chiamavamo “il serpente”, una lunga fila indiana, che appunto serpeggiava fra la folla, divertente per noi, fastidioso per la gente.
All’occasione provocavamo scherzando qualche fanciulla:
– Un bacio, signorina?
– Ma come si permette!
– Che crede? Perugina?
Percorrevo il circuito almeno quattro o cinque volte, fino a riposarmi in Piazza Duomo.
Allora in Piazza si usava ballare tranquillamente senza frenesia.
Si formavano piccoli vuoti circolari per dare spazio alle coppie danzanti.
Era a quel tempo un genere di divertimento molto gradito, specialmente dai forestieri: Ballare in piazza, sotto le stelle, in pieno inverno!
L’alternativa alle danze era il teatro col seguito dopo teatro. L’avventura del dopo teatro. Troppo aleatorio e assai dispendiosio. Meglio lasciarsi cullare dalle musiche in piazza, cercando, non sempre con successo, di catturare una gradita partner per un esaltante giro di valzer.
Attorno a mezzanotte, finite le danze, tutti ad assistere al rogo di Re Carnevale. “Addiu, Cannaluvari! – diceva la gente – “Cannaluvari vattini a Mineu, facci pensari a nostra quarantena!
Applauditi erano gli sputi clamorosi che, negli spasmi del rogo, il re morente schizzava verso il Municipio. Diversi erano i commenti della gente- salaci,acidi,corrosivi.
Con le ore piccole si andava ai veglioni. Con i miei amici preferivo quello del salone dell’Azienda di Cura, che allora aveva sede nei locali dove più tardi sorse il cinema Galatea.
E così all’alba si ritornava a casa, soltanto per rinfrescarsi e cambiarsi perché alle otto il buon padre domenicano ci aspettava in chiesa, a San Rocco, per la Messa e l’imposizioni delle Ceneri. Il padre domenicano era il nostro assistente spirituale. Assistente del gruppo dei giovani cattolici di S. Rocco.
Dopo la gradita colazione che ci veniva offerta, subito di nuovo a casa a prendere i libri e via verso la scuola. Il buon preside De Gaetani ci aveva concesso di entrare in aula qualche ora dopo l’orario consueto.
Ma non era finita! Nel tardo pomeriggio tutta la classe era convocata nella basilica di San Pietro.
Il nostro insegnante di religione, l’indimenticabile Don Vito Russo ci voleva per invitarci a ben cominciare la Quaresima e ad prepararci degnamente alla Santa Pasqua.
Francesco Catania
(Francesco Catania, Le antiche follie dell’ultima notte di Carnevale, «Il Gazzettino del Sud», n. 2374, Acireale,  27 febbraio 2007 )

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