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La mafia uccide solo d’estate

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di Massimo Cubeda –  Una ulteriore ventata di novità sul cinema italiano, che da qualche anno sta finalmente dando qualche gradito segno di vita, è stata sicuramente apportata dalla prima opera cinematografica del giornalista-iena Pierfrancesco Diliberto, da tutti conosciuto come Pif.

Il regista palermitano con «La mafia uccide solo d’Estate» si è proposto di affrontare, attraverso una commedia, il tema della mafia a Palermo negli anni più turbolenti degli omicidi e degli attentati.

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La storia è la biografia di Arturo, un bambino palermitano, che (per una serie di improbabili coincidenze) cresce spalla a spalla con i più eclatanti fatti di mafia degli anni settanta-ottanta.

Ciò farà crescere nel protagonista, diventato improvvisamente trentenne nel secondo tempo, una grande sensibilità e riconoscenza nei confronti di quelle persone (dal commissario Giuliano al giudice Borsellino) che lavorando al servizio della giustizia hanno sacrificato la loro vita.

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La visuale con la quale Diliberto affronta il tema, è quella tipica “piffiana”, e cioè quella ingenua e scanzonata di un bambino di otto anni. Una visuale che se da un lato costituisce un punto di forza, si rivela al contempo come un grosso limite.

Nel film infatti, pur non mancando le gag ben riuscite, e l’ottima recitazione di diversi caratteristi, l’idea rimane quella di una puntata speciale de «Il testimone».

Anche l’idea geniale di utilizzare la comicità naturale della figura di Giulio Andreotti arriva con diversi anni di ritardo sul Divo di Sorrentino, e quindi tanto geniale non è.

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A questo dobbiamo aggiungere anche una storia d’amore, che presa una certa coraggiosa, apparentemente, direzione verso un amaro ma significativo finale, si avvia all’ultimo minuto ad un patetico banale e mieloso lieto fine.

Il finale del film invece, ci commuove nel ricordo dei personaggi eroi dell’antimafia, attraverso le eloquenti immagini delle lapidi, ma il semplice ricordo non basta ad affermare che questo film ci abbia lasciato un preciso messaggio.

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A conti fatti, Diliberto riesce ad andare oltre il format del tipico cinema italiano, ma non riesce purtroppo ad andare oltre alla solita puntata de «Il testimone», regalandoci un film divertente ma niente di più.

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