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Brainiac a Catania: 1996

Negli anni ’90 Catania era conosciuta come la Seattle d’Italia. Le migliori band del panorama alternative internazionale si esibivano nel capoluogo etneo grazie alle conoscenze nel settore e all’attività di promozione culturale del territorio portata avanti dagli storici “Uzeda”: nel 1996 i Brainiac terranno un memorabile concerto proprio in Sicilia, a Catania. Davide Miccichè ci riporta la sua testimonianza di quegli anni e di quello straordinario spettacolo.

Se negli anni ’90 suonavi/ascoltavi un certo tipo di musica (e questo “certo” era semplicemente sconfinato, limitiamoci allora alle facilissime etichette e appioppiamogli un bel “alternative”), Catania era decisamente un’ottima città.

Il capoluogo etneo appariva come un bellissimo posto in cui vivere, girare, provare con decine di gruppi, frequentare centri sociali e spararsi band che venivano chissà da dove e chissà perché.

Ed era anche la città giusta per beccare un concerto degli Uzeda, la band “volumi altissimi” ufficiale della città, la più longeva, la più famosa, probabilmente la migliore nella furia dei live.

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Uzeda (pubblicazione della foto concessa da sacha Tilotta).

Gli Uzeda erano (e sono) tenuti in altissima considerazione nella scena (noise? alternative? rock e basta?) musicale internazionale, amici dei Fugazi, di Steve Albini, invitati allo storico programma radiofonico BBC del leggendario disc jockey britannico John Peel, con la loro Indigena Concerti portarono a Catania realtà di cui riviste come «Rumore» (una bibbia all’epoca) non facevano che parlare, come i Girls against boys da Washington, al teatro di Picanello e, soprattutto (per me) una “due giorni” di rock al porto (prezzo del biglietto bassissimo, non ricordo ora quanto): 15 e 16 settembre 1996.

La prima giornata del 15 vede all’assalto il garage soul dei The Make up da Washington (assolutamente da recuperare il debutto “Destination: love”) supportati dai catanesi 100%.
Il secondo round del 16 invece vede protagonisti i Brainiac (o “3ra1n1ac” come scrivevano sulle copertine dei loro album) da Dayton, Ohio, ad aprire la serata i Turn, sempre da Catania.
Non vorrei eccedere con la retorica dei bei tempi che furono, ma fu semplicemente memorabile!

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Conoscevo già i Brainiac (andavano forte tra l’intellighenzia) avevo sentito dei brani su «Planet Rock» a «Radio Rai» e li avevo trovato troppo strani per i miei gusti , ma vederli dal vivo cambiò tutto: le canzoni continuavano ad essere strane e dissonanti e tuttavia si ostinavano ed essere confezionate nella classica forma canzone strofa/ritornello.
E fu lì che capì ciò che avrei dovuto capire sin dal primo ascolto: lo facevano di proposito, volevano che suonasse esattamente così!
Come dirà il frontman Tim Taylor,«we are Brainiac, the kings of pop», del pop esatto, era questo che non avevo focalizzato, prendevano un format standard e restavano a guardarlo marcire, impazzire, aggrovigliarsi, deflagrare al successivo scontato/imprevedibile passaggio, tutto normale, niente di normale.

I mezzi? I soliti (più o meno): moog, chitarre, sezione ritmica, voci da camicia di forza.
Sembravano solo quattro ragazzotti con l’abito della domenica che, dopotutto, quella sera avrebbero fatto semplicemente rock’n’roll; e, invece, in quel live (complice l’ottimo sistema di amplificazione, devo concludere dai miei estasiati ricordi) pettinarono a tutti noi i capelli a colpi di decibel, dicendoci pure “ecco bello, sto taglio va molto forte al momento”.

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Tim Taylor in particolare,(voce, synth e, all’occorrenza, chitarra) era una vera forza della natura, una via di mezzo tra Mick Jagger ed un irrequieto bambino che aveva esagerato con gli zuccheri: si dimenava, urlava, faceva le boccaccie, prendeva letteralmente a calci il suo il synth, il quale resistette per tutto il concerto, è un fatto, poi non so… fine canzone, ringraziamenti, strambotti vari con il pubblico (divertitissimo), chitarre isteriche, bassi groovy, ritmo, e…avanti con un altro dei loro innumerevoli successi mondiali se Timmy, la star, non fosse morto l’anno successivo in un banale incidente automobilistico vicino casa, in Ohio, proprio quando i Brainiac erano ad un passo ormai dal “successo” vero.

I Braniac avevano, infatti, da poco firmato un contratto con la major Interscope Records, la stessa del calibro dei Nine Inch Nails o del rapper Tupac Shakur; inoltrein Europa avevano aperto diversi concerti per Beck.

È andata così. Electro shock for president – EP di quello stesso anno, uscito per la Touch and GO records di Chicago (la stessa degli Uzeda) – resta il loro ultimo lavoro.

A Catania la notizia della sua morte si sparse proprio durante un’altra “festa” di Indigena, al Cortile Platamone, Blonde Redhead, Marlene Kuntz, Warmers e Uzeda (in ordine sparso) in scaletta, la serata fu ovviamente dedicata a lui.

Personalmente degli altri membri della band non seppi più nulla a eccezione del chitarrista John Schmersal, il quale dopo un bel album solista (introvabile quasi) a nome John Stuart Mill, ha intrapreso una proficua carriera con gli Enon, collaborato con Caribou e preso parte a decine di altri progetti multiformi, inclusi i Vertical Scratchersduo chitarra-voce, batteria suonata da Sacha Tilotta, eccellente drummer, componente anche dei Three secondo kiss , leader degli Stash raiders, nonché figlio di Agostino e Giovanna degli Uzeda (e qui mi piace pensare che il cerchio si chiude).

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Vertical Scratchers, e al centro Sacha Tilotta (foto concessa da Sacha Tilotta).

Proprio i Vertical Scratchers – insieme ai Raindogs da Catania come apripista – nel marzo del 2014, tengono a Caffè del Porto un bellissimo concerto, semplice, rumoroso, senza fronzoli e – a tratti – commovente; e per un attimo, solo per un attimo, sembra di tornare a quasi vent’anni prima, quando si aveva la sensazione che in Città circolasse la musica migliore del momento.

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P.S. si noterà che – a parte alcuni accenni – di fatto, ho parlato molto poco della loro musica in senso stretto, e questo perché con le parole non rendono loro giustizia, prendete le opere dei Brainiac; dovete ascoltarli, decidere da soli, tralasciare che possano esserci affinità con i Pere Ubu o i Devo, piuttosto godetevi il loro album Hissing Prigs in Static Couture.
Solo così capirete che «Fuck Michael Jackson. Fuck Elvis Presley. We’re Brainiac, the king of pop».

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